giovedì 20 settembre 2007

Aziende familiari: passaggio generazionale e gestione dei sentimenti

Il problema del passaggio generazionale riguarda una enorme quota di imprese in tutti i maggiori sistemi economici, dall’Italia alla Spagna, all’India.

Le aziende familiari sono la forma d’impresa più comune in quasi tutti i paesi del mondo, dall’America Latina, al Medio Oriente, dall’ Asia all’Europa: secondo il Family Firm Institute, rappresentano una percentuale che va dall’80% al 90% del totale (in Italia ci attestiamo sull’83%). Alcune sono gigantesche (basti pensare alla WalMart, che è in assoluto la più grande azienda del pianeta), ma mediamente tendono ad essere piccole, anche perché il tasso di mortalità è molto alto: si stima che solo il 20% delle aziende familiari sopravvive al primo ricambio generazionale.

I fallimenti in molti casi sono del tutto indipendenti dal business, e molto legati ai difficili rapporti che si instaurano tra i membri della famiglia. Quello delle psicodinamiche familiari è un problema così serio da aver suggerito all’Imd, la business school di Losanna, una soluzione ad hoc: "Riuniamo per qualche giorno tutta la famiglia in un’aula, nuore e generi compresi (in alcuni casi siamo arrivati a mettere insieme fino a settanta parenti), per discutere e studiare insieme un progetto d’impresa condiviso, cercando risolvere gli inevitabili conflitti e le naturali resistenze che tipicamente frenano lo sviluppo delle imprese familiari. Qui il docente finisce per svolgere un ruolo che definiamo di ‘Ceo’, Chief Emotional Officer", spiega Joachim Schwass, direttore del Family Business Center dell’Imd.

Ma a parte le emozioni, il vero nodo è nella capacità della proprietà di capire fino a che punto sia giusto che la famiglia venga direttamente impegnata nell’attività gestionale. "Pensando all’Italia, ci sono due raccomandazioni che vorrei fare – ha detto John Ward, della Kellogg School of Management di Chicago, intervenendo in un recente convegno dell’Associazione Italiana Aziende Familiari – Primo: garantire un vertice indipendente, con un giusto bilanciamento tra parenti e professionisti: i nonfamiliari dovrebbero essere almeno la metà (per le grandi), se non i due terzi (per le Pmi) del consiglio di amministrazione. Secondo: incoraggiare le nuove generazioni a studiare il più possibile, a rafforzarsi anche con esperienze di lavoro esterne prima di intraprendere la propria carriera nell’azienda familiare". A monte di tutto, però, secondo John Davis di Harvard, deve esserci un leader capace di tenere a bada la propria innata resistenza a lasciare il campo, per fare in modo che la successione possa avvenire sul serio. "Ma l’intenzione di passere il testimone da sola non basta perché spesso il fondatore tende a imporre al figlio un management e una impostazione imprenditoriale del tutto identica alla sua – conferma Massimo della Porta, amministratore delegato di Saes Getters (azienda italiana solidamente radicata in un settore mondiale dell’hitech complesso come quello dei materiali innovativi) – Con mio padre sono stato estremamente fortunato, perché lui ha sempre avuto un atteggiamento illuminato sull’argomento".

Che il tema abbia un rilievo importante è testimoniato anche dalla quantità e qualità dei programmi specifici sul family business offerti da diverse dalle maggiori business school: a Londra c’è la Cass che ospita studentiimprenditori provenienti da 42 diversi paesi (in particolare l’India dove le aziende familiari sono il 95%) con l’obiettivo di aiutarli a realizzare il salto generazionale grazie a un processo di innovazione che non faccia perdere all’azienda il dna originario; in Francia l’Insead di Fontainebleau, che offre corsi ad hoc in previsione del ricambio che nei prossimi anni colpirà massicciamente centinaia di realtà imprenditoriali francesi, e anche l’Essec di Cergy; in Spagna c’è la Iese di Barcellona, che per prima in Europa ha creato una cattedra di Family Business. In Italia la Sda Bocconi offre il programma "Di padre in figlio" (ne sono già state organizzate 16 edizioni), mentre il 1819 ottobre, presso l’Università Cattolica di Milano, si terrà il 30° Convegno Annuale Aidea Accademia Italiana di Economia Aziendale, dal titolo "Dinamiche di sviluppo e di internazionalizzazione del Family Business".

Che si faccia in Italia o all’estero la formazione è comunque un buon investimento, perché chi trova la giusta formula imprenditoriale può far durare la propria aziende molto a lungo; al riguardo è bene ricordare che nel club Hénokiens, che raccoglie le aziende di proprietà della stessa famiglia da più di 200 anni, ci sono attualmente 33 soci di cui quasi la metà italiani.

di Carlo Alberto Pratesi

Nessun commento: